Normativa

Il Patrimonio immobiliare degli Enti religiosi

Svolgendo da anni attività di Consulenza specifica per gli Enti Religiosi, ho avuto l’occasione di affrontare in maniera approfondita le problematiche riguardanti la gestione del loro Patrimonio Immobiliare. La consistenza di tale Patrimonio è frutto di origini diverse e storicamente abbiamo assistito prima ad una continua crescita ma poi, per diverse ragioni, ad una progressiva e ineluttabile dismissione.


IMMOBILI DI ENTI ECCLESIASTICI E IMMOBILI DI ENTI RELIGIOSI: UNA PRIMA DISTINZIONE

Per poter proseguire con la trattazione, è anzitutto necessario introdurre la distinzione tra gli immobili appartenenti al Patrimonio degli Enti Ecclesiastici (Santa Sede e Diocesi) e gli immobili di proprietà di Enti Religiosi (Istituti di Diritto Privato autonomi, anche se di emanazione Pontificia o Diocesana). I primi sono per lo più luoghi di culto e immobili destinati esclusivamente alla vita religiosa (chiese, santuari, conventi, canoniche, case religiose, ospizi e infermerie per religiosi); i secondi comprendono invece sia le case religiose destinate alla vita comunitaria ma anche tutti gli immobili destinati alle opere, sia religiose che sociali, che da sempre sono stati funzionali alla professione di fede ma soprattutto allo scopo per cui l’Ente era stato fondato. Da qui l’acquisizione nel tempo di strutture sanitarie, orfanotrofi, case famiglia, case di riposo, ma anche scuole, convitti e case vacanza.

A questo nel tempo bisogna aggiungere i beni che benefattori e lasciti testamentari hanno donato al mondo religioso, creando così vasti patrimoni di immobili residenziali e commerciali, i cui redditi a volte sono stati la fortuna ma anche l’impegno per molti Enti.

LE PRINCIPALI PROBLEMATICHE DELLA GESTIONE DEGLI IMMOBILI RELIGIOSI

Il problema si è creato, come già scritto precedentemente, quando la diminuzione considerevole delle vocazioni ha impoverito le comunità di religiosi e soprattutto religiose, rendendo alcune strutture inutili in quanto troppo grandi per il numero esiguo di presenze sia per la vita comunitaria, sia per i momenti di formazione, ritiro e vacanza.

L’altro problema si è verificato con il progressivo invecchiamento delle strutture che “naturalmente” hanno iniziato a necessitare di considerevoli opere di ristrutturazione ma soprattutto di adeguamento a tutte le normative che ormai sono obbligatorie per il mantenimento in sicurezza ed efficienza di un immobile. Tali interventi sono particolarmente necessari per quelle strutture al cui interno si svolgono attività di tipo commerciale con responsabilità non solo legate agli occupanti residenti, ma anche agli utenti e ospiti. È evidente che i proprietari (legali rappresentanti) di queste strutture siano soggetti a responsabilità sempre maggiori e pertanto venga richiesta una maggiore attenzione.

Immaginiamo dunque le difficoltà di una Parrocchia che si trova ad avere diversi immobili con un Parroco che risulta (in qualità di legale rappresentante) responsabile di affitti e magari anche gestore di una scuola o di una RSA; oppure le problematiche di una Congregazione che ha diverse sedi sia in Italia che all’estero e che risulta proprietaria di decine di immobili (in alcuni casi anche centinaia). Da tempo le Diocesi e le Congregazioni si sono mosse per fare chiarezza su questo tema complesso che richiede tempo e importanti investimenti anche per il solo censimento e determinazione della consistenza del Patrimonio. La questione è ancora più complessa se si pensa che la maggior parte di questi beni appartengono ad epoche non recenti e quindi l’interesse e la valorizzazione sono anche argomento che riguarda le sovraintendenze ai beni culturali, le cui pratiche per verifiche e pareri in caso di ristrutturazioni sono spesso lunghe e faticose.

Fatte queste doverose premesse, senza entrare troppo nello specifico anche perché le dinamiche di ciascun Ente non possono essere assimilate ad un unico caso, tante e diverse sono le situazioni, colgo l’occasione per soffermarmi su una serie di indicazioni generali che penso possano essere utili per poi approfondire più specificatamente le problematiche di ciascun singolo caso.

L’indicazione generale data dalle Diocesi negli ultimi anni è stata quella di verificare all’interno del proprio patrimonio quali immobili siano veramente utili a finalità pastorali. Da qui poi l’indicazione sempre generale di mettere a reddito il bene o di alienarlo (qualora non sia specifico per il fine richiesto), dapprima rivolgendo l’attenzione ad eventuali enti di natura sociale e senza scopo di lucro che abbiano magari la necessità di spazi e luoghi ove svolgere attività benefiche, ai quali pertanto destinare il bene in comodato gratuito con l’accortezza che esso venga curato e tenuto in ordine. In questo caso però è necessario fare attenzione a che tipo di manutenzione il bene necessita: se si tratta di “ordinaria manutenzione” non si creano particolari problemi; se l’immobile necessita invece di interventi “straordinari” (tetto, impiantistica generale, staticità, ecc.), molto spesso sia il soggetto gestore che il proprietario non sono in grado di effettuare investimenti adeguati creando pertanto difficoltà nel mantenimento e gestione dell’immobile stesso.

Da qui nasce a mio parere la determinazione di alcuni criteri necessari per evitare spreco di tempo e denaro e che riassumerei con due concetti: PROGETTUALITÀ e VALORIZZAZIONE.

Parlo di progettualità perché mi sono accorto che spesso le decisioni in merito al futuro di un Immobile sono frutto non di accurate considerazioni ma di necessità imminenti o frutto di sentimentalismi e attaccamento ai beni come “custodia” di una storia e di un cammino. Purtroppo, i tempi cambiano e, senza nulla togliere alla storia e alla vita vissuta di un Ente, non si può più pensare che un bene sia custode di un ricordo perché il “costo” di esso è davvero molto elevato. La progettualità in questo senso serve a capire cosa effettivamente si può fare del bene e se realisticamente l’Ente ha interesse a conservarlo sapendo che va mantenuto e sono necessarie forze e capacità per gestirlo.

Alienare non è sempre una sconfitta; anzi, se è frutto di un progetto diventa risorsa per ottenere altri scopi utilizzando meglio altri immobili più consoni alla realizzazione degli scopi dell’Ente.

Da qui l’aspetto della valorizzazione che non è semplicemente dare un “prezzo” al bene, perché questo potrebbe essere anche simbolico, ma piuttosto creare un’aspettativa, una progettualità di investimento che può essere data sia da chi è interessato ad un eventuale acquisto ma soprattutto da chi lo vuole alienare. In teoria questo percorso evita le speculazioni e le vendite azzardate per “fare cassa” anche se talvolta questo tema diventa non una scelta ma una esigenza per ripianare gestioni sciagurate o per pagare spese di ristrutturazioni senza progettualità. Un altro scopo potrebbe essere dichiaratamente quello di realizzare comunque una vendita (prezzo giusto o meno che sia) necessaria alla realizzazione di un progetto per cui l’ente non ha disponibilità finanziarie; in questo caso suggerisco anche la valutazione (prima dell’alienazione frettolosa) di un accesso a forme di finanziamento che diversi Istituti di credito legati al Terzo Settore offrono proprio per queste necessità.

Per attivare tutto questo meccanismo è prima di tutto necessaria un’unità di intenti all’interno dei consigli direttivi delle Congregazioni e dei consigli Diocesani, confidando che lo Spirito Santo illumini le menti. Qui il tema dell’apporto dei Laici diventa fondamentale; non è sempre facile trovare tecnici deputati alla valutazione complessiva dei beni e professionisti che veramente si occupino di valorizzare il bene. È naturale, infatti, che le tipologie dei beni e la complessità delle operazioni possono indurre facilmente alla realizzazione di un profitto per chi fa l’operazione piuttosto che un beneficio all’Ente.

Riassumendo potremmo tracciare un percorso di questo tipo:

  1. Consapevolezza dei beni posseduti → quantità, tipologia, ubicazione.
  2. Analisi del Patrimonio → se utilizzato, a reddito, da chi è occupato e per cosa.
  3. Progettualità → definizione di quali bene mantenere, quali ristrutturare, quali alienare.
  4. Valorizzazione → definizione del percorso da intraprendere per ciascun bene, ovvero
    • se va mantenuto: preventivo dei costi per il mantenimento;
    • se va ristrutturato: preventivo della ristrutturazione per continuare a svolgere l’attività in essere;
    • se va venduto: determinazione del valore non solo di perizia ma realistico sul mercato e come gestire la vendita.

Mi rendo conto di non poter esaudire tutti i quesiti riguardo la tematica ma mi rendo sempre disponibile per approfondimenti anche in virtù delle esperienze già avute con Enti e Parrocchie.

Dott. Marco Bianchini, Consulente Nazionale FIES e Amministratore Turismo & Impresa Sociale

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